II PIANO NOBILE
MAIN FLOOR II
Il Piano
Nell’ala occidentale del piano si conserva uno straordinario ciclo di affreschi seicenteschi che consente di apprezzare i protagonisti della pittura barocca genovese.
La decorazione interna dell’edificio, avviata nella prima metà del Seicento, vede tra i primi ambienti da essa interessati piccoli ma preziosi vani quali la cappella e le due galleriette.
I grandi cicli decorativi che ricoprono le volte delle sale appartengono, invece, al secondo Seicento.
La committenza di questa strepitosa impresa è da riferirsi, almeno in parte, a Cristoforo Battista Centurione che entra in possesso del palazzo nel 1669: i lavori hanno inizio attorno alla fine dell’ottavo decennio del secolo XVII, come dimostra la datazione 1679 riportata in un cartiglio dell’affresco di Domenico Piola.
Il vasto ciclo decorativo presenta diversi elementi unificanti che donano armonia all’insieme: la tematica mitologica; la concezione
barocca degli spazi che vengono reinventati dagli artisti; le pregevoli cornici realizzate, presumibilmente, dalla stessa equipe di stuccatori.
Si può supporre che anche gli ambienti dell’ala orientale, e tanto più il grande salone principale, rientrassero nell’importante progetto barocco: il maestoso ciclo decorativo, svoltosi lungo tutto l’arco del Seicento, infatti, aldilà delle diverse mani coinvolte, rivela una sostanzialmente concezione unitaria che non poteva escludere spazi importanti come quelli in questione.
Tuttavia non si hanno elementi per stabilire quale tipo di decorazione precedesse quella tuttora presente: si tratta, infatti, di
interventi novecenteschi commissionati dalla famiglia Cambiaso al pittore genovese Giovanni Battista Semino (1912-1987) e al
decoratore Illiano che firmano e datano gli affreschi 1937-39.
Loggia
(Giovanni Semino)
Il piccolo ambiente è stato affrescato dal Semino con soggetti legati alla tradizione genovese: in una lunetta è San Giorgio che uccide il drago, mentre alle pareti le pitture simulano due nicchie al cui interno sono raffigurati Nettuno e la Prudenza.
Salone principale e Sala delle Quattro Stagioni
(Giovanni Semino)
Semino affresca le volte del salone principale
e dell’attigua sala d’angolo ispirandosi
a modelli barocchi col tentativo di uniformarsi
alla decorazione delle sale vicine.
Dal punto di vista dei soggetti proposti la
continuità si realizza nella volta del salone
in cui è raffi gurata la Fama - ripresa dall’affresco
di Gregorio de Ferrari - che annuncia
la Verità svelata dal Tempo, così come
nel soggetto della sala adiacente, dove sono
dipinte le Quattro Stagioni. Le pareti del
salone conservano coeve quadrature dipinte
dal decoratore Illiano che dovevano
incorniciare delle raffi nate “tappezzerie”
orientaleggianti qui un tempo inserite, testimonianza
della diffusione del gusto per
le chinoiseries che interessò in maniera diffusa
l’Europa nel XVIII secolo.
Sala del Trionfo della Liguria
(Gregorio De Ferrari)
Proseguendo verso ponente si intraprende
il “percorso barocco”, con la sala dipinta
da Gregorio De Ferrari su committenza di
casa Centurione, come attesta lo stemma
che regge un putto.
L’artista esegue, attorno al 1684, il Trionfo della Liguria: la Fama, con in mano la tromba, annuncia la personificazione della Liguria, una donna armata con un occhio sul palmo della
mano destra a cavallo di un grifo; intorno,
una serie di putti popola vorticosamente il
cielo.
L’impostazione compositiva, innovativa
e libera, proietta le figure diafane in uno spazio di luce e di movimento, la cui profondità è accentuata dall’illusoria cornice prospettica - eseguita forse dal quadraturista bolognese Antonio Haffner - connotata da fiori e stucchi dorati su cui poggiano negli angoli figure di ignudi.
Gallerietta con le Quattro Stagioni
(Bernardo Strozzi ?)
La prima fase decorativa del palazzo, quella
riguardante la prima metà del Seicento,
comprendeva le raffi gurazioni delle Quattro
Stagioni di Bernardo Strozzi che, secondo
le testimonianze di Carlo Giuseppe Ratti e
di Federigo Alizeri, ornavano un andito che
porta da una stanza all’altra: col restauro
sono state recuperate alcune fi gure allegoriche
- scialbate nell’Ottocento - nelle lunette
di una gallerietta di passaggio affacciata su
via del Campo. Potrebbero essere le personifi
cazioni delle Stagioni dipinte da Strozzi,
anche se oggi sono rese poco leggibili a
causa dello stato di conservazione. Le pareti
di tale ambiente, invece, hanno rivelato una
raffi natissima decorazione a grottesche su
fondo giallo caratterizzata da uno spiccato
naturalismo espresso da attente illustrazioni
di animali e da inserti paesaggistici che
risentono dell’esotismo e della moda del
Grand Tour in voga tra Sette e Ottocento.
Sala di Bacco e Arianna
(Domenico Piola)
Domenico Piola risulta protagonista della
fase decorativa che interessa la seconda metà
del Seicento: essa si apre, infatti, con l’affresco
di Bacco e Arianna, eseguito nel 1679.
Tale datazione appare, come si è detto, su
un libro collocato illusoriamente sul cornicione
della stanza ed è accompagnata da un
motto petrartesco a cui è affi data la chiave
di lettura dell’intera illustrazione: ALTRO
DILETTO IMPARAR NO[N] TROVO. Il
tema dell’amore, inserito nello ‘sfondato’
centrale delimitato da una notevole e insolita
ghirlanda a stucco, è temperato da alcuni
episodi della mitologia dal fondo dorato,
posti sul cornicione: l’educazione è volta
a ricondurre l’esaltazione pagana dei sensi
alla ragione e alla morale. L’insieme allude
a Crono, al trascorrere del tempo rappresentato
attraverso l’evolversi delle stagioni.
Galleria di Venere e Adone
(Bartolomeo Guidobono)
Al termine dell’infilade di stanze, nell’ala di
ponente del piano, trionfa la maestosa Galleria
di Venere e Adone - ultimo decennio
del XVII secolo - sulla cui copertura il prete
savonese rappresentata l’apoteosi della sensualità,
esaltata dalla straordinaria libertà
compositiva. La ricca trama di ghirlande
fi orite è un evidente richiamo all’opera del
Piola, il cui motivo è qui trasferito in pittura:
rispetto ad essa, inoltre, la lunga volta
è integralmente aperta sul cielo e fi gure
maschili sorreggono i ‘quadri’ centrali raccordandoli
alla cornice; l’andamento fl uido
delle immagini dona morbidezza all’insieme
che risulta ricco di movimento. I panneggi
prendono corpo nella plastica dello
stucco che emerge dalla parete e poggia sul
cornicione determinando una continuità tra
lo spazio reale e quello dipinto.
Sala del Carro di Giunone tra le Metamorfosi
(Bartolomeo Guidobono)
Al centro della volta Giunone è seduta su di
un carro trainato da due pavoni; intorno alla
cornice centrale si aprono illusivamente architetture, colonne, archi e balaustre oltre le
quali si affacciano i protagonisti di alcune
favole ovidiane come il Ratto di Ganimede,
Borea rapisce Orizia, la Trasformazione
di Fetonte, Progne e Filomena.
L’insieme - dominato dall’intelaiatura prospettica riferibile all’Haffner - mostra un esplicito richiamo, indicato da Ezia Gavazza, alla decorazione correggesca della Camera della
Badessa nel Convento di San Paolo a Parma
sia nella figura sul carro, sia nel vorticoso
scorrere delle figure aldilà degli ‘occhi’ aperti sul cielo. L’imponente finzione architettonica non impedisce, infatti, di apprezzare il fluire delle figure nel libero spazio.
Gallerietta con il pergolato
(Agostino Tassi ?)
Il piccolo vano, ubicato nella parte posteriore dell’edificio, si trova in asse con quello, di eguali dimensioni, dipinto dallo Strozzi (?): entrambi gli spazi sono ricavati dal ‘riempimento’ del vicolo adiacente il palazzo, operazione
funzionale all’annessione delle case vicine (tale addizione non è rilevata nelle piante di Rubens).
La copertura della gallerietta è affrescata a fingere un pergolato con tralci di vite, fiori ed uccelli che lascia intravedere il cielo: nonostante i rifacimenti novecenteschi, Ezia Gavazza ha avanzato l’ipotesi secondo la quale l’autore potrebbe essere riconosciuto nel toscano Agostino Tassi (1566-1644), specializzato in questo genere di decorazioni, che avrebbe potuto realizzarlo durante uno dei suoi soggiorni genovesi: quelli documentati sono del 1605, 1609, 1610, ma non sono da escludere successivi ritorni.
Tale illustrazione ha, probabilmente, una duplice valenza, naturalistica e simbolica, come in altri esempi della tradizione cristiana, dato che, all’occasione, il vano fungeva da anti-cappella: da lì era possibile assistere,
attraverso un’apertura a ‘mezzaria’ (oggi ripristinata, ma per lungo tempo rimasta murata), ai riti liturgici che si svolgevano nel sacello domestico. Tale dislivello, contribuisce a marcare la distinzione tra la dimensione
terrena e quella divina assumendo anch’esso valore metaforico e rendendo la visione dal basso assai suggestiva.
I due vani adiacenti sono separati da una prestigiosa porta tutta di cristalli…con cornice attorno dorata…invece che piombi vi sono lamette d’argento (inventario del
1706).
Cappella
(Affreschi di Giovanni Carlone e statue di Filippo Parodi)
La cappella è assai particolare per forma
e collocazione: ottagonale e situata in posizione
sopraelevata rispetto al piano, è ricavata nello spazio sovrastante lo scalone principale ed è raggiungibile tramite una scaletta laterale.
La cappella è in gran parte ricoperta da un prezioso apparato a stucco che partisce la
copertura in otto spicchi dove s’inseriscono gli affreschi di sapore tardo-manierista di Giovanni Carlone, databili - secondo Venanzio Belloni - attorno al 1628, cioè negli ultimi anni della vita dell’artista che vi opera mentre stava dipingendo all’Annunziata, o poco prima.
Le pitture rappresentano il Padre Eterno nel medaglione centrale, attorniato dagli Evangelisti e da Angeli con i simboli della Passione.
La piccola cupola ripropone, su scala ridotta,
quella affrescata dall’artista nel presbiterio
di San Bartolomeo della Certosa a Rivarolo.
Ai lati dell’altare erano ospitati un San Giuseppe in un niccio e dall’altra parte un San Gio. Batta di legno dorati fatti da Parodi (inventario del 1706): le due pregevoli statue sono da collocare cronologicamente in un momento successivo rispetto alla decorazione dell’ambiente che le accoglieva in base alla paternità riferita al grande intagliatore e scultore Filippo Parodi (1630 -1702) che spesso ha lavorato a fianco del
pittore e decoratore Domenico Piola.
All’ambito parodiano potrebbe forse essere
riferita anche l’alzata di legno dorato intagliata
con girali e cherubini a rilievo, collocata
sopra la mensa.
L’inventario del 1706 ci informa anche sulla
pala d’altare raffigurante Nostra Signora
di Santa Maria Maggiore di Roma che occupava
la nicchia sopra l’altare.
Sala dell'Allegoria delle Arti Liberali
(Gregorio De Ferrari)
Questo ambiente, con tutta probabilità, è da identificarsi con quello che l’inventario del 1706 definisce la recamera delle donne verso la cappella: anche questo vano, infatti, comunicava col sacello attraverso un’apertura della parete, ora murata.
La volta è connotata da una quadratura che pone contro una cupoletta dorata la figura del Genio alato, mentre telamoni sottolineano quattro arcate entro le quali sono
poste le Allegorie delle Arti: la Scultura, la Pittura incoronata dal Tempo, la Poesia raffigurata da Apollo circondato dalle muse e intento a suonare la lira, la Musica
suonata da Orfeo che incanta gli animali.
L’affresco, attribuito a Gregorio De Ferrari, è stato rimaneggiato fino a far perdere la cifra stilistica e il guizzo della pennellata dell’artista seicentesco, a tal punto da far esclamare a Federico Alizeri è un vero oltraggio al
contorno […] pare insomma che simboleggiando le arti, volesse sminuir l’onore della più gentile, com’è la pittura.
Diffusi gli interventi di ridipintura che hanno interessato
la volta, in particolare è stato aggiunto lo stemma della famiglia Cambiaso accanto alla personificazione dell’arte scultorea.
La quadratura che connota fortemente la volta limita l’azione delle fi gure che solitamente negli affreschi di Gregorio De Ferrari trovano una più ampia libertà di movimento; tale soluzione ha fatto dubitare dell’autografia del pittore, facendo avanzare un’attribuzione al figlio Lorenzo (1680-1744) o a Domenico Parodi (1672-1742).